La sua esperienza di volontaria con Emergenza Sorrisi è iniziata nel 2008 e da allora non ne ha più potuto fare a meno, arrivando a partecipare a ben 18 missioni chirurgiche. Per lei fare del bene e guarire sono doveri del medico. Abbiamo chiesto a Chiara Consigli, neonatologa al Fatebenefratelli S. Pietro di Roma, di raccontarci la sua esperienza di volontaria.
Cosa significa essere un volontario?
A parte il sapere che puoi fare del bene senza tanta fatica, è anche scoprire un modo diverso di pensare e di approcciarsi alla patologia. Quando sono in missione faccio lo stesso lavoro che faccio a Roma, ma sembra di regalare il mondo ai pazienti; è come se in missione si riuscisse a fare del bene senza nessuna fatica tranne quella di affrontare dei viaggi un po’ lunghi. Essere un volontario vuol dire uscire dai tuoi canoni e dalla tua comfort zone per fare un’esperienza personale senza uguali. Vedere con i tuoi occhi come la gente soffre e convive con una patologia come la labiopalatoschisi è disarmante. Con il nostro lavoro cambiamo davvero la vita di tantissimi bambini, perché agiamo sul loro volto in maniera tangibile.
Hai un ricordo particolare a cui sei legata?
In realtà sono tantissimi perché ogni missione è speciale. Sicuramente la prima missione è stata quella più emozionante, ma hai talmente tanti timori che forse non te la godi abbastanza. Fare del bene e guarire sono doveri del medico e le cose che ti spingono a partire. Una cosa che è costante in tutte le missioni è che ho sempre conosciuto persone eccezionali. Non pensavo che ci potessero essere primari, infermieri e anestesisti capaci di mettersi a disposizione per il prossimo con tanto amore. Nella mia primissima missione in Tanzania è arrivata una mamma che allattava una bambina di 5 mesi e che pesava appena 2,5 kg. La ragazza era stata cacciata dalla famiglia perché a detta loro aveva generato un mostro. La bambina non cresceva e non riusciva a nutrirsi correttamente a causa della malformazione. Sapere che esistono ragazze che vengono allontanate dalla comunità d’origine e dalla propria famiglia per questo motivo mi ha lasciato di sasso e mi ha fatto capire che nel momento in cui tu guarisci un bambino gli ridai la vita in tutti i sensi.
In missione ci si deve anche improvvisare in altro?
Sì! Spesso in missione i chirurghi lavorano a stretto contatto con i medici locali per trasmettere le tecniche di cura e consentire poi di poter proseguire ad operare in autonomia. Visto che conosco molto bene il francese in missione sono diventata anche traduttrice simultanea sulla tecnica chirurgica e ho aiutato con la lingua. Questo vuol dire essere una vera squadra!
Un messaggio per chi vuole diventare volontario?
Partecipare a una missione chirurgica è un’esperienza di vita nel percorso che forma il medico. La gioia che dà aiutare gli altri è inspiegabile. Ai giovani che lavorano con me cerco di lasciare la mia passione per questo lavoro e la gioia che si prova nel far tornare il sorriso a questi bambini.