Torna da ogni missione con una carica vitale che porta nella sua quotidianità e in quella degli altri. Ecco la storia di Rosaria infermiera presso l’Ospedale San Pio da Pietrelcina di Castellaneta tra le volontarie protagoniste della missione di Nassiriya
Ci racconti del tuo incontro per Emergenza Sorrisi?
Sono venuta a conoscenza di Emergenza Sorrisi nel 2008, tramite una cara amica: mi disse che cercavano personale per la missione in Pakistan. Non ero molto consapevole di quello che stavo facendo, sapevo solo che sarei andata a compiere azioni umanitarie. E infatti il primo giorno di missione è stato un’esperienza traumatica: vedere così tanti bambini piangere dal vivo mi ha turbato molto, erano tantissimi. Ma poi abbiamo iniziato ad operare, ed è stato meraviglioso.
Adesso, ogni volta che mi arriva la chiamata della coordinatrice che mi propone di partecipare ad una missione, per me è come una manna dal cielo. Andare in missione è un’esperienza fisicamente estenuante, ma mi dà tanta carica vitale che porto anche nella mia quotidianità. Durante la missione vivo solo per la missione in quel periodo.
Cosa porti con te della missione in Iraq?
Sono stata diverse volte in Iraq: è un Paese cui sono molto legata per un’esperienza che ho avuto qualche anno fa. Stavo tenendo in braccio un bimbo bellissimo, che era stato operato, e sua mamma mi fece segno di portarlo con me, indicando un aereo che passava, probabilmente per dargli un futuro migliore.
L’ultima missione in Iraq è stata molto importante, perché siamo riusciti ad operare tantissimi bambini in poco tempo. Quando siamo lì, c’è anche tanta collaborazione tra noi volontari e quelli del posto, che spesso ci vengono incontro per esserci di aiuto.
Ho in mente un’immagine bellissima della fine della missione: quella del corridoio vuoto. È un’immagine toccante. È toccante ricordare la folla in attesa di pochi giorni prima, e poi vederla dissolvere, e stare meglio.